Di Alfredo Corrao. Prima pubblicazione in “ImagoRomae”, giugno 2011
Le fotocamere a “corpi mobili” derivate dall’introduzione del soffietto consentono un deciso movimento di basculaggio e di decentramento sia, eccettuati i primi modelli, sull’asse posteriore (il piano pellicola) che su quello anteriore (il piano ottico).
I primi tipi di queste fotocamere si differenziavano anche per il sistema di chiusura, di cui furono sperimentate tre soluzioni:
1. parte anteriore rigida e quella posteriore mobile (tail board). In questo caso la chiusura avviene comprimendo il soffietto e alzando la parte inferiore (banco) che va a proteggere il vetro smerigliato.
2. parte anteriore mobile e quella posteriore fissa.
3. entrambe le parti mobili, compresse in corrispondenza del centro del banco il quale è composto da tre parti.
La tail board risultò il miglior compromesso per le macchine da studio e così nel finire degli anni ’80 del XIX secolo, queste risultavano più numerose di tutte le altre macchine fotografiche.
Le fotocamere da campagna, allora dette anche a mano o da stativo, trovarono i maggior vantaggi nell’utilizzare il sistema con la parte posteriore fissa. Questo era molto limitato nei movimenti ma consentiva una impugnatura più solida e un miglior uso della fotocamera a mano oltre che una maggior velocità nella messa in opera. Sia le tail bord che le campagnole utilizzarono spesso una cassetta come parte fissa in modo da contenere e proteggere il soffietto durante il trasporto.
La fotocamera da campagna è il modello più longevo della storia della fotografia: è tutt’oggi prodotto anche se la sua fabbricazione, ed il conseguente uso, cominciò a scemare con l’avvento delle fotocamere pieghevoli a lastra prima e delle Folding Pocket Camera poi.
Si può ragionevolmente posizionare la fine dell’epoca delle fotocamere in legno verso il 1930, quando le fotocamere da campagna dovettero cedere il passo alle piccole macchine fotografiche che consentivano una fotografia più pratica e dinamica e, contemporaneamente, negli studi fotografici i primi banchi ottici in metallo, più moderni e funzionali, sostituirono le fotocamere da studio in legno.
In realtà fu il sistema con due corpi mobili a produrre l’evoluzione tecnica più significativa quando Petzval, nel 1857, inventò il banco a singola rotaia (monorail).
La possibilità di avere un singolo binario su cui effettuare i movimenti di macchina (anteriori e posteriori) fu però totalmente apprezzata solo in seguito, quando al legno si sostituì, nella costruzione delle fotocamere, il metallo.
Fin dalle origini le fotocamere si contraddistinsero in due tipologie: quelle portatili e quelle da studio. Entrambi i tipi avevano in comune alcune possibilità di decentramento e basculaggio e l’utilizzo di lastre più grandi rispetto alle macchine amatoriali che giunsero sul finire del secolo.
La differenza fondamentale fra i due tipi è proprio nella trasportabilità poiché, con la diffusione della professione di fotografo nella seconda metà dell’800, le macchine da studio aumentano di formato e di peso, con un conseguente utilizzo di supporti più solidi spesso non pieghevoli. Le lastre usate da queste macchine sono perlopiù le 30×40 cm. Le campagnole, dette anche folding, adottano invece dimensioni di lastra più contenute (13×18 / 18×24 cm) e ad esse vengono applicate tutte le innovazioni capaci di semplificarne trasporto e messa in opera.
Torna a: #3 Il soffietto
Continua a leggere: #5 Le fotocamere di medio e piccolo formato